Poco dopo
averla spedita, ricevetti una telefonata in segreteria: era Jacovitti.
Dieci giorni dopo mi accoglieva nel suo studio, ovvero la piccola
cameretta dentro l'appartamento ove abitava: una stanza molto ordinaria,
con un piccolo tavolo di lavoro, due poltrone, un tavolino, una libreria.
Appena entrato, subito mi presentò la sua collezione di armi,
contenute in una bacheca.
Cominciammo a parlare della mia proposta e della sua vita.
Riguardo ai mobili, tra le altre cose mi disse (adesso che ci pensava...!)
che una volta aveva progettato e realizzato una poltrona, forse per
un amico, ma si ricordava solo vagamente come fosse fatta, e comunque
era andata distrutta...
Mi fece anche vedere dei bozzetti di un appendiabiti che stava realizzando
per una ditta veneta (in verità, sagome in legno laccato con
sopra appiccicati dei ganci, la cui unica qualità era rappresentata
dalle riproduzioni di alcuni personaggi di Jacovitti stampate su di
esse).
'Arcicomiche stellari' se lo ricordava bene, peccato che - diceva
- fosse stato completamente reimpaginato dall'Editore (era infatti
- come ho saputo successivamente - la raccolta in libro di una serie
ad episodi apparsa nel 1965 con il titolo "Microciccio Spaccavento").
Mi fece vedere il lavoro che stava terminando a china in quel momento:
fu lì che mi resi conto, con stupore, che il suo segno grafico
così veloce e dinamico era in verità la sommatoria amanuense
di tanti sottilissimi tratti; la velocità non nasceva da un
atto rapido ed impulsivo, ma da un lungo e meticoloso lavoro.
Dopo un paio d'ore di piacevole conversazione, prima di lasciarci,
mi donò alcuni 'souvenir': un paio di manifesti autografi,
un fascicolo di 'Jacovitti Magazine' che conteneva un suo catalogo
di oggetti assurdi e una dedica sul libro.
Uscii dall'edificio con la netta senzazione che il mondo di Jacovitti
era un mondo dominato in maniera esclusiva dall'umorismo e non dalla
forma, anche se attraverso essa tale mondo si rappresentava, e che
ogni mio tentativo di ricondurre Jacovitti ad una ricerca formale
- in qualche modo ispirata alle futuribili forme di 'Arcicomiche stellari'
- si sarebbe scontrato con il titolare, cioè Jacovitti.
In verità a lui interessava e piaceva scherzare con le cose,
non analizzarle, tantomeno studiarle, certamente non aveva nessunissima
intenzione di mettersi a disegnare tavoli e sedie, lui che disegnava
fumetti.
Così feci ben pochi sforzi per cercare una Ditta produttrice,
per di più semiconvinto che l'unica cosa che mi sarebbe riuscito
a creare - eventualmente - sarebbe stato uno dei suoi famosi salami
a quattro zampe (imbottito in pelle colorata).
Dopo quell'occasione non ci sentimmo più, e qualche anno dopo
Jacovitti ci lasciò definitivamente soli.
Il
mio personale tributo alla sua memoria - ed alle celebrazioni per
l'avvento del XXI secolo - è questa mostra virtuale di alcune
immagini tratte da 'Arcicomiche stellari', impegnativa edizione di
Jacovitti interamente dedicata alla fantascienza e quindi proiettato
verso una dimensione spazio-temporale futuribile: Jacovitti non era
comunque nuovo a questo tema, basti citare a mo' di esempi 'Pippo
nel 2000' (1950), le avventure della coppia Gionni Galassia-Tom Ficcanaso,
il 'Kamasutra spaziale'...
Pur se tutto
in questo fumetto è comunque riconducibile all'impronta comica
del 'segno' di Jacovitti, in alcuni momenti inaspettatamente appaiono
degli 'exploit' grafici di grande qualità formale (le astronavi,
le scene di battaglie stellari, alcune inquadrature di esseri alieni...)
in cui egli, per un attimo, abbandona il lato umoristico della sua
vena creativa rivelando un aspetto quasi drammatico del suo lato fantastico-creativo.
Comicità e fantasia in Jacovitti non viaggiano mai disgiunti,
e per questo Jacovitti è giustamente e inevitabilmente identificato
con la qualità comica della sua produzione: quando - come in
questo caso - Jacovitti concede uno spazio esclusivo in alcune tavole
all'aspetto formale, emergono oggetti di un 'design' di rilevante
qualità estetica, dominato da un cromatismo accesissimo, per
nulla hi-tech, estremamente allegro ed italiano, dal caratteristico
tratto curvilineo ed organico, che io trovo assolutamente contemporaneo.
I riferimenti stilistici di 'Arcicomiche stellari' vanno dall'immaginario
modernista legato alla moda ed al design degli anni '60 e '70 ai riferimenti
alle avventure spaziali dell'eroe dei fumetti della sua infanzia,
Flash Gordon, a formare un universo jacovittiano molto analogico e
poco digitale ove tutto ha una impronta piuttosto fisica e concreta,
pur nella sua fantasticità.
Così gli aggeggi elettronici citano con allegra leggerezza
trombe di grammofono, valvole, monitor scatolari, alimentazioni a
pedali, che si uniscono al ricchissimo campionario di varianti all'interno
di una medesima tipologia di oggetti (a titolo di esempio, si vedano
i copricapi, rappresentati in varianti infinite di fogge).
In questi disegni ed in questi oggetti non ci si aspetti una volontà
di rappresentazione visionaria o profetica del futuro: qui non c'è
nessuna adesione spirituale verso il mondo della tecnica, ed il futuro
è tratteggiato come qualcosa di 'fantasioso' in quanto inedito
e non prevedibile, e perciò non-reale in quanto non-presente,
proprio come il mondo cartaceo dei comics.
Anche se - occorre precisarlo - si possono cogliere singolari intuizioni:
si pensi al collegamento 'mentale' tra esseri viventi ed oggetti,
alla trasposizione tra mondo vegetale e mondo animale, alla bizzarra
multiformità dei mezzi di comunicazione (variabile quanto le
fogge dei copricapi...).
Tanta fanta e poca scienza, dunque, in questo mondo futuribile di
Jacovitti, ove la tavola finale di 'Arcicomiche spaziali' - popolata
da stravaganti esseri ed esserini alieni che inneggiano alla 'proibizione
di proibire' - ci appare come un inno al mondo dell'immaginazione,
più che a quello della tecnica.